Pubblicità, trasgressione e cambiamento sociale
Pubblicità, trasgressione e cambiamento sociale
“La
trasgressione non nega l’interdetto ma lo trascende e lo completa”
(Bataille,
1969)
La pubblicità è accusata, contemporaneamente, di conformismo e di eccessiva trasgressione.
Soprattutto in passato, si sottolineava il suo ruolo di conservazione/diffusione dei valori morali dati e più consoni agli interessi del mercato. Ma la pubblicità può anche favorire il cambiamento sociale. “Funzioni di modernizzazione così come di emancipazione, di divulgazione, di alfabetizzazione, di integrazione la pubblicità le esercita in modo efficace” (Abruzzese, 2000: p.19). Fabris (2002: p.526) nota che, negli anni 60, la pubblicità in Italia ha svolto un simile ruolo. “I nuovi modelli di consumo che la pubblicità veicola postulano rapporti sociali nuovi… conflittuali se non antitetici a quelli codificati nella cultura precedente; le interpretazioni di ruolo appaiono incredibilmente moderne rispetto a quelle più tradizionali.”
Il ruolo della donna nella pubblicità si è trasformato, negli anni, nel metro di giudizio convenzionale per verificare il reale tasso di conformismo pubblicitario.
Ad uno stereotipo tradizionale di donna, casalinga e madre; si è associata, nell’universo pubblicitario più recente, una figura di donna autonoma, “moderna”, maggiormente indipendente e realizzata nel lavoro [1] . Alcuni vedono in questa figura emergente uno scandalo; altri la piena emancipazione della donna ed argomenti per sostenere che la pubblicità favorisca il cambiamento sociale. Tanti, però, restano scettici. Da una parte (molte femministe) contestano il modello di emancipazione come falso. Notano che i due modelli “emancipativi” emergenti e più diffusi sono: quello della donna in carriera [2] , che ha interiorizzato i valori dell’universo maschile del lavoro, potendo apportare davvero poche modifiche; e della seduttrice aggressiva e attiva. Spesso, però, l’aggressione si tramuta, alla fine, in nuova sottomissione fatta passare per libera scelta esplorativa. E, in più, tale cambiamento sembra riflettere, più che una volontà emancipativa, la trasformazione dell’immaginario collettivo e del desiderio maschile; che ora brama essere sedotto e graffiato, ritrovando poi il dominio. La donna pubblicitaria, in entrambi i casi, è collegata sempre ed esclusivamente alla seduzione ed al sesso. In moltissimi spot rappresenta semplicemente il premio, l’oggetto sessuale che l’eroe ottiene grazie alla merce feticcio; o, nella versione per ragazze, l’oggetto sessuale che attira il principe azzurro, grazie al seducente e magico profumo, e liberamente sceglie di sottomettersi e godere del piacere e del lieto fine della fiaba, erotizzata e feticizzata, in cui ogni cosa torna al “suo posto”.
La pubblicità “non impone nuovi modelli culturali. Al contrario segue quelli esistenti. Segue i valori del pubblico. Solo che mostrandoli li esalta, li rende più belli.” (Trevico, 1986) Più stereotipati. La pubblicità non crea nulla, “cattura i messaggi e i significati già esistenti nell’immaginario collettivo per metterli direttamente nelle merci vendute sul mercato ai consumatori, affinché essi si ritrasmettano a questi ultimi” (Codeluppi, 1992: p.109)
Quindi, se svolge una funzione di cambiamento sociale, di solito, si tratta di una forma di diffusione di modelli culturali legittimati recentemente, nei centri culturali metropolitani, e scelti tra quelli più consoni all’integrazione del sistema (o trasformabili in ciò); verso zone più distanti dai luoghi dell’innovazione e dell’elaborazione culturale. L’esempio Italiano degli anni 60 è illuminante. I modelli innovativi, proposti negli spot, erano rivoluzionari per il contesto ancora sostanzialmente contadino e cattolico Italiano, ma erano totalmente legittimati nella maggioranza dell’“Occidente Capitalista” e totalmente funzionali all’ integrazione e riproduzione sistemica.
The
Sicret è uno spot di straordinario successo, della campagna Campari
Red Passion (2005)
[3]
, spesso usato come prova della trasgressività della
pubblicità odierna. Lo spot è girato all’interno della
hall di un albergo di lusso, dominata dal rosso accesso che trasuda, dalle
pareti, sex appeal e ataviche passioni non sopite, risvegliate nel paradiso “post-moderno”.
Un uomo accovacciato,
sicuro di sé, al bancone incrocia lo sguardo di una donna, in affascinante
abito da sera nero, che sta risalendo una scala di luce. L’insegue, attraverso
la luce, in una serie di interspazi labirintici dominati dal rosso-fuoco, che
man mano si stempera in un marroncino da biblioteca borghese d’elite,
con un’ interzona futuristica da attraversare sotto la luce bluastra
che purifica e disinfetta. L’incontro fatale avviene in un cilindro dal
pavimento fiammeggiante che, man mano, svanisce al salire della camera sulle
pareti di un marroncino tenue, attraversato da linee scure. La donna finalmente
si volta e l’uomo, colpito, le versa il liquido rosso intenso del bicchiere
sul vestito. Il liquido fiammeggiante unisce, emergendo dallo sfondo di nero
e beige. La donna, fissandolo, si smaschera divaricando le bretelle del vestito.
Il sesso androgino si svela nel petto delicato e purificato dai peli bestiali
dell’uomo. Con il dorso della mano fa per togliere il rossetto, rosso
acceso, che, sbavando, resta fissato sulla guancia come dopo intensa passione.
Gli sguardi si incrociano e l’androgino maschile lascia scivolare a sua
volta la maschera, slacciando la camicetta. Fasce strette a comprimere il seno.
I capelli trattenuti si sciolgono in un sensuale turbinio. Tornata donna, lei
lo penetra con uno sguardo di desiderio; lui ricambia sicuro, mentre la camera
si allontana e riemerge il rosso accesso del pavimento che richiama la guancia
segnata di lui e l’onnipresente bicchiere-filtro-feticcio, che smuove,
di lei. (Per Williams (1980) la pubblicità è un sistema di esortazioni
e soddisfazioni magiche simile ai sistemi magici delle società primitive).
La scena svanisce mentre i due si fronteggiano pavidi e desideranti d’amplesso;
con lui che la domina visivamente con la sua presenza massiccia e lo sguardo
che dall’alto, al basso, si impone e l’assoggetta. I ruoli sono
ristabilisti, la festa è finita. Il carnevale svanisce per riprendere
ancora. Il carattere carnevalesco dello spot è sottolineato dal titolo
dell’avvolgente canzone che l’accompagna: Masked
Ball - Ballo In Maschera
[4]
. Il
carnevale è un luogo di disordine ordinato in cui esplorare l’alterità ed
il desiderio; per poi tornare alla vita (lavoro) e ai sessi prestabiliti. “La
festa è il Caos ritrovato e modellato di nuovo” (Caillois, 1991:
p. 378)
La festa, il carnevale, per Bataille, sono il “tempo sacro per eccellenza… Tra i periodi normali e i periodi di festa, vi è un inversione di valori”.
“Il mondo profano è quello dei divieti” e del lavoro, durante il quale accumuliamo risorse. “Il mondo sacro si apre a trasgressioni limitate” e vive sotto il segno dello spreco-distruzione.
“La trasgressione eccede, senza distruggerlo, un mondo profano di cui è completamento.” (1969: pp.76-77) È un modo per convivere con il divieto illogico.
“La trasgressione sovente non solo è ammissibile, ma anzi è obbligatoria… Il divieto esiste allo scopo appunto di essere violato” e, così, confermato e rafforzato.
“Sotto il peso dell’emozione negativa, noi dobbiamo obbedire al divieto: lo violiamo se l’emozione è positiva.” (Bataille cercò per tutta la vita di demistificare e valorizzare l’emozione positiva.)
La trasgressione non riporta ad uno stato di “libertà naturale” e non sarebbe neanche concepibile se non esistesse il divieto. “Il senso della trasgressione è infatti: In questo particolare momento, quella data cosa è, fin qui, possibile.”(ibidem: pp.71-72) “La preoccupazione di una regola a volte raggiunge il massimo nel corso della trasgressione.” (ibidem: p.73) La trasgressione viola, temporaneamente, la fragile barriera di divieti che l’uomo oppone alla natura; e nel farlo, contemporaneamente, conferma e rinforza questa esile grata.
“La trasgressione non è la negazione del divieto, bensì il superamento e completamento.” (ibidem: p. 71) “L’ordine culturale include sia la regola, sia la trasgressione.” (Clifford, 2000: p.153)
La “trasgressione” di molta pubblicità attuale, forse, non è neanche trasgressione nel pieno senso in cui l’intende Bataille. La trasgressione “appare non meno sottoposta a regole di quanto lo sia il divieto… ma una prima licenza limitata, può scatenare l’impulso illimitato della violenza” (1969: p.73). Questo impulso sembra del tutto assente dalla pubblicità, le cui trasgressioni sono così limitate e codificate da non poter, quasi mai, avere simili esiti di eccesso che fuoriesce dagli schemi prefissati e previsti.
“Il
messaggio pubblicitario deve rispettare nel trasgredire la tradizione senza
spaventare il consumatore”.(Abruzzese, 2000: p.19). I
modelli trasgressivi, a cui si ispira, sono rubati tra le pratiche più “alternative”,
che nascono nei microcosmi urbani, quando queste hanno, già, iniziato
il percorso di diffusione fuori dal micro-gruppo, verso la moda; banalizzandosi,
perdendo la carica oppositiva, al fine di diventare più digeribili.
Legittimate grazie ad una perdita di eccesso di senso. Segni de-sacralizzati,
socialmente accettati e giocati sulla superfise della pelle (alcuni rari spot
possono attingere a pratiche in avanzato stato di banalizzazione e legittimazione,
ma non ancora del tutto accettate). La pubblicità rimonta il tutto in
una cornice ancor più de-potenziata ed asservita; e lo diffonde dai
centri di innovazione alle periferie. In questo movimento, a volte, appare
trasgressiva all’occhio periferico, escluso (volontariamente o per posizione)
dai flussi globali del fetish.
La possibilità di, fortuita, rottura è annullata. La trasgressione minimizzata e asservita agli scopi (si pensi al Rap nato come voce arrabbiata dei ghetti affamati, finito come cantore rozzo del lusso).
La pubblicità tende a diffondere gli ultimi modelli accettati ed inseriti funzionalmente-sfruttati nel sistema. Quindi può svolgere una funzione di cambiamento sociale e trasgressione, ma tutta interna al sistema, depotenziata, e più che altro verso aree periferiche (rispetto ai flussi visuali).
Bibliografia
Abruzzese,
A.
2000 Metafore
della pubblicità, Ancona-Milano, Ed. Associati
1969 L’ erotismo, Milano,
Oscar Mondadori.
Bataille, G. (et al.)
1991 Il
Collegio di sociologia: 1937-1939, Torino, Bollati Boringhieri
Caillois, R.
1991 Teoria
della festa, in Bataille (et al.) (1991)
2000 Antropologia
della comunicazione visuale, Roma, Meltemi.
2007 Una
stupita fatticità, Milano, Costa & Nolan
Clifford, J.
2000 I
frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel secolo XX,
Torino, Bollati Boringhieri.
Codeluppi, V.
1992 Consumo
e comunicazione. Merci, messaggi e pubblicita nelle societa contemporanee,
Milano, Franco Angeli.
2001
La pubblicità. Teoria e prassi, Milano, Franco Angeli.
1984
I miti del quotidiano, Milano, Sugarco.
1980 Problems
in Materialism and Culture. Selected Essays, London,
Verso Ed.
[1]
Ad es. in una ricerca (1990-
[2] Spopolava negli anni 80, ora meno; ma è comunque usato in nuove maschere meno yuppie. Modello Clinton?
[3] Reperibile http://it.youtube.com/watch?v=7TOve6swe7M.
[4] Jocelyn Pook.